Dic 17, 2024 | Articoli, Notizie

L’Europa e la distopia della pace attraverso la guerra

Domenico Gallo

Domenico Gallo

ROBERT KENNEDY JR:

Amministrazioni democratiche e repubblicane hanno spinto la NATO ai confini della Russia, hanno violato la nostra solenne promessa dei primi anni ’90, quando abbiamo promesso che se la Russia avesse fatto questa terribile concessione di spostare 400.000 soldati fuori della Germania dell’Est, così consentendo l’unificazione della Germania sotto un esercito della NATO (un esercito ostile), noi ci saremmo impegnati a non spostare la NATO di un pollice ad est. … Eppure oggi abbiamo circondato la Russia. Non abbiamo spostato di un pollice ad est, ma di mille miglia e di 14 nazioni. Abbiamo circondato la Russia con missili e basi militari, qualcosa che noi non avremmo mai tollerato se i russi l’avessero fatto a noi”.

Dobbiamo fare qualche passo indietro. All’inizio degli anni 90, la guerra fredda è finita, l’Unione sovietica ha restituito l’autodeterminazione ai popoli dell’est europeo, la Germania si è riunificata, il Patto di Varsavia è stato disciolto, gli euromissili sono stati smantellati, mentre vengono firmati storici accordi sul disarmo. Questo clima di pacificazione durerà ben poco. Verrà interrotto dalla guerra del Golfo nel 1991, prima prova muscolare dell’impero sopravvissuto alla guerra fredda. Ma le vere scelte che cambiano il clima geopolitico vengono effettuate nel corso del 1997 dall’amministrazione Clinton che, stracciando gli impegni assunti con Gorbaciov, decide di estendere la NATO ad est, cominciando ad inglobare Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Si tratta della scelta politicamente più impegnativa che sia stata fatta dall’Amministrazione USA, dopo quella del contenimento dell’URSS, che ha dato origine alla prima guerra fredda. Contro questa scelta insorsero proprio coloro che la guerra fredda l’avevano teorizzata e praticata. In un articolo sul New York Times del 7 febbraio 1997 il diplomatico americano George Kennan, uno dei teorici della guerra fredda, lanciò un grido d’allarme, osservando:

“ la decisione di espandere la NATO sarebbe il più grave errore dell’epoca del dopo guerra fredda. Una simile decisione avrebbe l’effetto di infiammare le tendenze nazionalistiche antioccidentali e militariste nell’opinione pubblica russa, pregiudicherebbe lo sviluppo della democrazia in Russia, restaurerebbe l’atmosfera della guerra fredda nelle relazioni est ovest, spingerebbe la politica estera russa in direzioni a noi decisamente non favorevoli.”

Clinton non ascoltò le proteste dei protagonisti della guerra fredda, fra cui lo stesso Henry Kissinger e andò avanti nel suo progetto. Nel summit che si svolse a Madrid l’8 e il 9 luglio 1997, la NATO assunse la decisione di estendersi ad est, cominciando ad includere Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, che furono formalmente ammesse nel 1999.

Della gravità e dell’importanza geostrategica di questa scelta, nessuna forza politica si rese conto e nessuno si oppose. Una scelta, così densa di incognite, è passata inosservata, la politica si è voltata dall’altra parte e nessuno si è accorto che si stava impiantando nel cuore dell’Europa una nuova cortina di ferro.  Nel disinteresse generale è proseguita l’espansione della NATO ad est, che ha inglobato anche quelle Repubbliche che una volta facevano parte dell’Unione Sovietica (Estonia, Lettonia e Lituania). Con il vertice di Bucarest del 2 aprile 2008, la NATO ha lanciato un ulteriore guanto di sfida alla Russia, dichiarando la disponibilità ad inglobare anche Ucraina e Georgia.   Dopo un lavoro di ri-costruzione del nemico durato oltre venti anni, alla fine il nemico si è materializzato e la parola è passata alle armi. In realtà, con la scelta che gli USA hanno imposto alla NATO nel luglio del 1997, il treno della Storia è stato deviato su un altro binario, verso un percorso che ci ha sempre più velocemente allontanato dall’orizzonte del 1989 ed alla fine è arrivato al capolinea il 24 febbraio del 2022, data che simbolicamente rappresenta l’evento opposto e contrario a quello del 9 novembre 1989.

Ma la guerra non è ritornata in Europa per effetto di un automatico trascinamento di scelte sbagliate che ci hanno coinvolto senza che ce ne rendessimo conto. Alla vigilia dello scoppio della guerra, nell’inverno del 2021, la pressione militare della Russia nei confronti dell’Ucraina si era fortemente accresciuta, dal canto suo la NATO aveva rafforzato il suo dispositivo militare e aveva mostrato i muscoli con diverse esercitazioni militari. In altre parole l’ostilità ed il confronto fra due blocchi politico-militari era arrivato ad un punto di tensione tale che mai si era verificato durante la prima guerra fredda, se si esclude la crisi dei missili a Cuba nel 1962. Nel dicembre del 2021 vi erano solo due alternative: o si aprivano delle trattative per ridurre la pressione militare ed il confronto fra i due blocchi contrapposti, oppure bisognava rassegnarsi alla guerra, che sarebbe iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Prima di muovere le truppe, la Russia decise di dare una chance alla pace e di riannodare i fili del dialogo e della cooperazione sul tema della sicurezza reciproca. Il 17 dicembre fu pubblicato sul sito del Ministero degli esteri in russo, in inglese e francese una bozza di trattato da siglare con la NATO ed un’altra bozza da siglare con gli USA. Entrambe le bozze richiamavano – fra l’altro – i principi dell’Atto finale della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e cooperazione in Europa. Al centro delle proposte russe c’era l’impegno dei paesi occidentali a non espandere ulteriormente la NATO ad est e la richiesta di ridimensionare la pressione militare della NATO, annullando la dislocazione di basi missilistiche e ritirando le armi nucleari USA dislocate sul territorio di Stati non nucleari (come l’Italia e la Germania). Non si trattava di un diktat, ma di una proposta di negoziato che puntava ad arrestare la corsa agli armamenti e a depotenziare il confronto strategico politico-militare.  Il 7 settembre 2023 il Segretario generale della NATO ha confessato dinanzi alla Commissione esteri del Parlamento europeo che la Russia voleva trattare per evitare lo scoppio della guerra e si è vantato di aver chiuso la porta in faccia ad ogni dialogo. Lasciamo perdere Stoltenberg, che, come Segretario generale della NATO, agiva come una pedina degli USA, ma i leader europei, sia delle principali nazioni, sia i vertici dell’UE, conoscevano le proposte negoziali che la Russia, rompendo ogni riserbo diplomatico aveva reso pubbliche attraverso internet, e sapevano benissimo che rifiutare il negoziato avrebbe portato di nuovo la guerra in Europa con il suo inevitabile carico di devastazioni e di orrori. Quindi alla vigilia della guerra, Putin si è presentato sulla scena europea avendo in una mano un ramoscello d’ulivo e nell’altra una pistola. Il ramoscello d’ulivo era l’avvio concreto di un processo di distensione, come quello promosso da Gorbaciov nel 1989, la pistola erano le divisioni di carri armati ai confini dell’Ucraina.

All’origine della guerra c’è il tradimento dei popoli europei da parte dei loro leader. I vertici dell’UE, con in testa Von der Layen, Borrell e Michel, hanno chiuso la porta in faccia a Putin, così come hanno fatto i leader dei principali paesi europei. Anche l’Italia ha fatto la sua parte. In una riunione congiunta delle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato l’8 febbraio 2022 il ministro degli esteri Di Maio, pur riconoscendo il rischio incombente di guerra, dichiarò che l’Italia voleva la pace ma….la scelta dell’Ucraina di entrare nella NATO doveva considerarsi un “principio irrinunciabile”, come se si trattasse di una verità di fede. Alla domanda “volete il ramoscello d’ulivo o la pistola?”, le classi dirigenti europee hanno risposto: la pistola!

Alle origini della guerra c’è un delitto fondativo. Le corrotte classi dirigenti europee hanno tradito la ragione d’essere dell’Europa: quella di assicurare un futuro di pace ai suoi popoli nella condivisione di un medesimo destino.  

Questo delitto originario getta una luce sinistra che illumina il percorso politico delle istituzioni europee e dei pronunciamenti dei suoi organi per tutto il, corso della guerra fino ad oggi.

Questo spiega il silenzio di tomba tenuto durante il mese di marzo 2022 quando le trattative in corso fra la Russia e l’Ucraina avevano portato ad un’ipotesi di accordo, che avrebbe posto fine alla guerra.

L’ipotesi di accordo prevedeva la neutralità dell’Ucraina, cioè la rinuncia a quello che la diplomazia euroatlantica considerava un principio non negoziabile. E’ significativo che Zelensky il 28 marzo ebbe a dichiarare: “lo status neutrale e non nucleare dell’ucraina siamo pronti ad accettarlo, se ricordo bene la Russia ha iniziato la guerra per ottenere questo. Poi servirà discutere e risolvere le questioni di Donbass e Crimea ma capisco che è impossibile portare la Russia a ritirarsi da tutti i territori occupati: questo porterebbe alla terza guerra mondiale”.

La firma dell’accordo di pace venne sventata dal Primo ministro inglese Boris Johnson che si precipitò a Kiev notificando a Zelensky il veto americano: “l’Occidente non sosterrà alcun accordo di pace” ed istigandolo a combattere fino alla vittoria, vittoria, che sarebbe stata assicurata dai nuovi armamenti promessi dall’Occidente.

Da allora i negoziati sono stati da Zelensky proibiti per legge e la parola d’ordine è stata una sola: vincere.

Vincere è una parola che ha echi sinistri nella nostra memoria storica, ricordate quel famoso discorso di Mussolini del 10 giugno 1940:

“La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo.”

Il fascino della vittoria per pervenire ad una pace giusta è diventato il dogma che ha guidato, senza alcun ripensamento, la politica europea dall’aprile 2022 ad oggi.

Con una Risoluzione del 5 ottobre 2022 il Parlamento europeo, votando quasi all’unanimità, ha dettato la linea, puntando anziché alla pace, all’escalation del conflitto. La Risoluzione impegna tutti i paesi UE a diventare attivamente cobelligeranti chiedendo che sia incrementato massicciamente il flusso di armi a favore del Governo Ucraino e sia attivato immediatamente l’addestramento dei soldati ucraini all’uso dei sofisticati armamenti occidentali: “al fine di consentire all’Ucraina di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”. Insomma per il Parlamento Europeo, la guerra non si deve limitare a respingere l’aggressione russa, non si deve arrestare con i negoziati, ma deve proseguire per consentire all’Ucraina di riprendere quei territori (come la Crimea e le autoproclamate repubbliche del Donbass) sui quali non esercita più la sua sovranità dal 2014. In pratica  il PE ha votato un programma di guerra totale alla Russia nella convinzione che la “vittoria” sia l’unico obiettivo perseguibile. Nella risoluzione non compaiono mai le parole “pace”, “cessate il fuoco”, “trattative”, “negoziato”, “conferenza internazionale”. Del resto quale negoziato si potrebbe instaurare su queste basi? Gli obiettivi indicati possono essere raggiunti solo con la disfatta della Russia. Poiché è difficile che una superpotenza nucleare accetti di farsi sconfiggere, è evidente che il programma indicato dal Parlamento Europeo avrebbe portato ad una drammatica escalation del conflitto. Con questo programma di “aiuti” al popolo ucraino, la NATO, la UE e, per quanto di sua competenza l’Italia, hanno deciso di aprire tanti nuovi cimiteri di guerra che – secondo questo progetto – più velocemente saranno riempiti, più velocemente consentiranno di giungere alla pace. Con una successiva Risoluzione del 23 novembre 2022 il PE, esacerbando le atrocità della guerra in corso, caratterizza ancor di più la Russia come nemico, deliberando che: “la Russia è uno Stato sostenitore del terrorismo, è uno Stato che fa uso di mezzi terroristici”. Con questa definizione si previene ogni remota possibilità di negoziato.

Con una successiva deliberazione del 16 febbraio 2023 il Parlamento Europeo chiarisce in cosa consista la vittoria.  Al punto n.8 sottolinea che: “ l’obiettivo principale dell’Ucraina è vincere la guerra contro la Russia, intesa come la capacità dell’Ucraina di spingere al di fuori del proprio territorio riconosciuto a livello internazionale tutte le forze russe e i loro associati e alleati; ritiene che tale obiettivo possa essere conseguito solo attraverso la fornitura continua, sostenuta e in costante aumento di tutti i tipi di armi all’Ucraina, senza alcuna eccezione”.

A differenza dell’Italia, il PE declina l’indirizzo politico assunto senza remora alcuna.  Non sono previsti negoziati, l’unica soluzione è la vittoria dell’Ucraina sul campo di battaglia e la corrispondente sconfitta con umiliazione della Russia, che dovrebbe restituire quei territori come la Crimea che dal 2014 costituiscono una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa.

In quel periodo fervono i preparativi per la controffensiva dell’esercito ucraino che, addestrato ed armato dalla NATO dovrebbe ricacciare gli invasori e riprendersi i territori persi nel 2014.

La tanto annunciata controffensiva ucraina è partita nel giugno del 2023 ma è fallita in un bagno di sangue. Una approfondita inchiesta del Washington Post, tradotta in due lunghi articoli pubblicati il 4 dicembre 2023,ha  fatto emergere i retroscena della programmazione e preparazione della controffensiva di primavera, rivelando quanto è stato dolosamente taciuto all’opinione pubblica occidentale e agli stessi ucraini L’inchiesta ha dimostrato che la controffensiva è stata pianificata in sede NATO dai vertici militari americani con la collaborazione di ufficiali britannici. Le truppe ucraine da impiegare nella controffensiva sono state addestrate in una base dell’esercito degli Stati Uniti a Wiesbaden in Germania. Ufficiali militari ucraini, statunitensi e britannici hanno organizzato otto simulazioni di guerra a tavolino per costruire un piano di campagna. Sono state prese in considerazioni le difese della Russia e studiato un piano d’attacco che avrebbe dovuto portare le truppe ucraine a raggiungere il Mar D’Azov nell’arco di 60/90 giorni. I pianificatori hanno calcolato che la controffensiva avrebbe avuto uno sbarramento di fuoco russo e un tappeto di mine tale che le perdite ucraine sarebbero state fra il 30 e il 40%. In questo contesto le probabilità di successo, secondo i calcoli del software NATO, non superavano il 50%. Ora sappiamo che la NATO, in perfetto accordo con l’UE, non solo ha armato l’esercito ucraino, ma ne ha addestrato le truppe e ha spinto irresponsabilmente l’Ucraina a scatenare una controffensiva che non aveva alcuna probabilità ragionevole di successo, pur sapendo che avrebbe richiesto un pesante bilancio di perdite; 40% vuol dire centomila morti. Peccato che, per ottenere il consenso dell’opinione pubblica, è stato taciuto che si pianificava il sacrificio della “meglio gioventù” ucraina per raggiungere un obiettivo impossibile. Appena lanciata, la controffensiva si è subito impantanata e sono sorte le divergenze fra gli ufficiali ucraini e i loro mandanti della NATO, che hanno rimproverato alla parte ucraina di essere “casualty adverse”, cioè di voler morire poco, meno di quanto sarebbe stato necessario per vincere la guerra. Il 7 settembre Stoltenberg, dinanzi alla Commissione esteri del Parlamento europeo, ha continuato a mentire sulle sorti della controffensiva, dichiarando che gli ucraini vittoriosi avanzavano di cento metri al giorno. Ancora il 29 novembre Stoltenberg ha dichiarato che l’Ucraina ha prevalso ed ha riportato una grande vittoria, salvo smentirsi quattro giorni dopo, il 3 dicembre, dichiarando: “dobbiamo prepararci alle cattive notizie”. 

A fronte del fallimento della controffensiva, qual è stata la lezione che ne hanno tratto i vertici europei? La risposta ce la fornisce una Risoluzione del PE del 29 febbraio 2024.

Non importa quante vittime ha provocato la controffensiva, non importa che gli esperti militari abbiano spiegato che la vittoria è impossibile, la parola d’ordine è rimasta sempre la stessa: vincere! Questa parola d’ordine è stata ripetuta con la Risoluzione del 29 febbraio 2024. Il fallimento in un mare di sangue della controffensiva Ucraina dell’estate del 2023 non ha comportato alcun ripensamento, l’obiettivo resta sempre quello di vincere la guerra, costi quel che costi. Per ottenere questo risultato il Parlamento europeo alza il prezzo e chiede la fornitura di sistemi d’arma più performanti e a lungo raggio: “come i missili Taurus, Storm Shadow/Scalp”, assieme a moderni aerei da combattimento, vari tipi di artiglieria e munizioni. Un poco alla volta sono cadute tutte le restrizioni poste all’uso di sistemi d’armi occidentali.  

Dopo la controinvasione ucraina nella regione russa di Kursk, si è posto il problema se autorizzare l’uso di missili a lungo raggio (300-500 km) per colpire in profondità nel territorio della Russia.

Al riguardo Putin ha osservato: “Qui non si sta parlando di permettere o proibire al regime di Kiev di colpire il territorio russo. Lo sta già colpendo con l’aiuto di veicoli aerei senza pilota e altri mezzi. Ma quando si tratta di utilizzare armi occidentali ad alta precisione e a lungo raggio, la questione è completamente diversa. Il fatto è che – come ho già detto, e qualsiasi esperto lo confermerà (sia qui che in Occidente) – l’esercito ucraino non è in grado di colpire con sistemi moderni ad alta precisione e a lungo raggio di produzione occidentale. Non può farlo. Questo è possibile solo con l’uso di dati satellitari, che l’Ucraina non possiede: si tratta di dati provenienti esclusivamente dai satelliti dell’Unione europea o degli Stati Uniti, in generale, dai satelliti della NATO. Questo è il primo punto. Il secondo punto è molto importante, forse il più importante, è che le missioni di volo per questi sistemi missilistici possono, in realtà, essere eseguite solo da personale militare dei paesi della NATO. I militari ucraini non possono farlo. E quindi, non si tratta di permettere o meno al regime ucraino di colpire la Russia con queste armi. Si tratta di decidere se i paesi della NATO siano direttamente coinvolti in un conflitto militare o no. Se questa decisione verrà presa, non significherà altro che la partecipazione diretta dei paesi della NATO, degli Stati Uniti e dei paesi europei alla guerra in Ucraina. Questa è la loro partecipazione diretta. E questo, ovviamente, cambia significativamente l’essenza stessa, la natura stessa del conflitto. Significherà che i paesi della NATO, gli Stati Uniti e i paesi europei sono in guerra con la Russia”.

Da un punto di vista tecnico, i rilievi di Putin sono difficilmente contestabili. L’uso di questi sistemi d’arma differisce dagli altri armamenti forniti a Kiev perché l’Ucraina è solo la rampa di lancio, la navigazione dei missili verso l’obiettivo può avvenire soltanto con l’intervento diretto degli specialisti militari dei Paesi NATO che li possiedono.

Il Parlamento europeo, rinnovato dopo le elezioni del giugno 2024, ha mantenuto lo stesso indirizzo politico fondato sul dogma della vittoria e non si è fatto impressionare dai rischi di ulteriore escalation collegati all’uso dei missili a lunga gittata.

 Il Parlamento europeo non poteva ignorare il monito di Putin, né il fatto che l’uso di queste armi avviene con la partecipazione diretta di personale militare NATO.  Ciononostante con la Risoluzione del 17/7/24 il Parlamento europeo ha dichiarato “irreversibile” il percorso di adesione dell’Ucraina alla NATO, sostenendo fermamente: “l’eliminazione delle restrizioni all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo”. Questa posizione è stata ribadita con la Risoluzione del 19 settembre 2024 con la quale il PE  ha invitato “gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali forniti all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo”. La Risoluzione del 19 settembre 2024 è sostanzialmente una dichiarazione di guerra alla Russia. Per fortuna le deliberazioni del Parlamento europeo non sono vincolanti e quindi la dichiarazione di guerra per ora è solo in preparazione. Rimane il paradosso: come fa un Parlamento che dovrebbe esprimere la voce dei popoli a volere la guerra che non piace a nessun popolo? “Ovviamente la gente non vuole la guerra – riconosceva Hermann Göring – perché un qualche poveraccio d’una fattoria dovrebbe voler rischiare la propria vita in una guerra quando quel che può ottenerne nel migliore dei casi è di tornare vivo alla sua fattoria? Naturalmente la gente comune non vuole la guerra, né in Russia né in Inghilterra né in America, né, per quel che conta, in Germania”. Se il popolo per sua natura non vuole la guerra, come si fa a fargli cambiare idea al punto che la guerra sia auspicata dai Parlamenti che dovrebbero esprimere la voce del popolo? La risposta ce la fornisce sempre Göring: “Dopotutto sono i leader di un Paese che ne determinano la politica ed ogni volta è solo questione di portare il popolo dove lo si vuole, ciò è sempre vero, in una democrazia come in una dittatura fascista, in presenza d’un Parlamento o in una dittatura comunista […] il popolo può sempre essere sottomesso al volere dei leader. È facile. Tutto ciò che devi fare è dir loro che sono sotto attacco e denunciare i pacifisti per la loro mancanza di patriottismo che non può che mettere a rischio il Paese. Funziona allo stesso modo in qualunque nazione”.

Funzione così anche nell’Unione europea, qui le classi dirigenti hanno adottato lo stesso metodo suggerito da Göring. Per portare il popolo all’accettazione della guerra, ci hanno bombardato di messaggi per convincerci che, se non si batteva Putin in Ucraina, le armate russe avrebbero travolto tutta l’Europa e sarebbero arrivate a Lisbona. L’Ucraina doveva essere sostenuta e spinta alla controffensiva, perché col suo sacrificio difendeva la nostra libertà. Coloro che si opponevano a questa narrazione tanto assurda quanto strumentale, volta a pervertire il senso comune della gente, venivano messi all’indice e banditi come agenti del nemico.

Questo paradosso di un Parlamento che invoca la guerra si è ripetuto pochi giorni fa. La risoluzione approvata il 28 novembre dal Parlamento europeo spinge l’Europa verso la catastrofe. Ancora una volta è prevalso l’indirizzo politico che punta ad una impossibile vittoria militare dell’Ucraina da conseguire attraverso la disfatta e l’umiliazione della Russia. Quasi tre anni di guerra hanno provocato centinaia di migliaia di morti e danni ambientali incalcolabili all’Ucraina. Il fatto che il PE, in accordo con la nuova Commissione, riproponga lo stesso indirizzo politico che non ha portato ad alcun risultato se non l’inutile sacrificio dei giovani ucraini mandati al massacro, nel quadro di una continua escalation del conflitto, rende ancora più grave la scelta di persistere in quest’indirizzo scellerato. L’istigazione a colpire la Russia in profondità con missili a lungo raggio non può ribaltare l’esito del conflitto ma può solo avvicinare uno scontro diretto fra la NATO e la Russia, coinvolgendo i popoli europei nel fuoco di una nuova guerra mondiale.

Il Presidente John Kennedy, all’esito della crisi dei missili di Cuba, ammonì:

“Le Potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato o usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva”.

Questo dissennato indirizzo politico delle élite europee punta proprio a mettere la Russia di fronte a questa alternativa, sfidando il rischio di uno scontro nucleare che porrebbe fine alla civiltà europea. Non possiamo tacere, è uno scandalo che le istituzioni europee adottino un programma politico che promette solo morte e distruzione. Questo ulteriore “atto d’indirizzo” non può passare inosservato, l’opinione pubblica deve sapere, deve essere messa in condizione di chiedere conto ai partiti politici dei voti dati e del tradimento compiuto alle spalle dei popoli europei che li pone di fronte nella migliore delle ipotesi – se si riuscirà ad evitare lo scontro diretto – ad una irrimediabile e tragica divisione dell’Europa com’è avvenuto in Corea, dove dopo settant’anni  dalla tregua la guerra è ancora in atto poiché non è stato stipulato un trattato di pace. Non possiamo tacere, l’opinione pubblica deve chiedere conto di quanto dolore e sangue comportino queste scelte scellerate.

Grosseto, 6 dicembre 2024

Domenico Gallo

Domenico Gallo

Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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